A cura di Biologia della Nutrizione
Secondo i dati dell’Istituto superiore di Sanità un neonato su 3mila nasce con una forma di malattia tiroidea e in età adulta le donne sono molto più soggette alle malattie tiroidee rispetto agli uomini: il 20% di possibilità di sviluppare problemi alla tiroide nel corso della sua vita. Da cosa dipendono i disturbi tiroidei e quali sintomi danno? Può l’alimentazione aiutare a prevenirli e curarli?
Le malattie tiroidee derivano da disfunzioni della tiroide, una ghiandola endocrina posta alla base del collo che produce l’ormone tiroideo importante per regolare numerose funzioni del metabolismo, tra cui lo sviluppo del sistema nervoso centrale e l’accrescimento corporeo.
La corretta funzione della ghiandola tiroidea è garantita da un adeguato apporto nutrizionale di iodio. La carenza di iodio, uno dei più gravi problemi di salute pubblica secondo stime dell’Organizzazione Mondiale della Sanità. Una carenza di ormone tiroideo durante la vita fetale e neo natale può avere effetti diversi fino all’arresto irreversibile della maturazione dell’encefalo con gravi conseguenze sullo sviluppo intellettivo. Il fabbisogno di iodio è quindi particolarmente elevato per le donne in gravidanza e per i bambini.
L’iper funzionamento della tiroide si manifesta quando la ghiandola rilascia troppo ormone nell’organismo ed è la patologia endocrina maggiormente frequente dopo il diabete mellito. L’ipotiroidismo, invece, si sviluppa quando gli ormoni tiroidei sono insufficienti. In genere questo avviene quando si è sottoposti a radiazioni (radio-iodio), o in seguito a malattie metaboliche da accumulo, o in presenza di una carenza o eccesso di iodio o in seguito a lesioni dell’ipotalamo. Il gozzo è il sintomo più evidente di un disturbo tiroideo e può presentarsi sia in caso di ipertiroidismo che di ipotiroidismo.
Alcuni alimenti di uso comune sono in grado di interferire con il corretto metabolismo dello iodio. Tali cibi, se vengono consumati in grande quantità e per tempi prolungati, possono avere effetti “gozzigeni”: cavolo, rapa, cavolfiore, colza, ravanello e rucola, ossia ortaggi che appartengono alla famiglia delle Crucifere; soia e derivati; spinaci; carne e pesce conservati contenenti nitrati, additivi alimentari ad azione antimicrobica e antisettica. La biodisponibilità di queste sostanze viene enormemente ridotta dalla cottura ad alta temperatura. Il cavolo bianco sottoposto a bollitura, per esempio, si calcola che subisca una perdita del contenuto di isotiocianati (sostanze gozzigene) del 56% nei primi 2 minuti e del 70% dopo 8-10 minuti.